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Amici – Capitolo VI

 
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Leggi Schermi per capire la storia

Il primo giorno di scuola mia mamma si propose di portarmi là in macchina; eravamo entrambi nervosi e lei ha voluto accompagnarmi fino al momento in cui varcai la soglia della classe. Ci misi più tempo del solito a vestirmi a causa del mio braccio, ancora in via di guarigione. Il gesso arrivava fin sopra il gomito, quindi dovevo mettere una speciale busta di plastica sul braccio quando facevo la doccia, in modo da evitare che l’acqua rendesse inutile la medicazione. Quel mattino, comunque, forse a causa dell’eccitazione o del nervoso, non avevo legato bene la busta. A circa metà della doccia sentii l’acqua che mi scorreva sulle dita. Spaventato, saltai fuori dalla doccia e mi strappai di dosso la sacca di plastica. Sentivo che il gesso si era leggermente ammorbidito dopo essere stato a contatto con l’acqua. Dato che non c’è modo di pulire l’interstizio tra il gesso e il braccio, la pelle morta che normalmente cadrebbe rimane lì, e se si mischia con del liquido, ad esempio sudore, emana un fastidioso odore, e apparentemente l’intensità dell’odore è dovuta alla quantità di liquido introdotta. Quel giorno, infatti, mentre cercavo di asciugare il braccio, venni colpito da un fortissimo odore putrido. Mentre lo sfregavo freneticamente con l’asciugamano il gesso cominciò a sgretolarsi. Mi sentii sempre più a disagio, mi ero preparato così bene al mio primo giorno di scuola. La sera prima avevo preparato con cura i vestiti insieme a mia mamma; avevo passato un bel po’ di tempo a preparare lo zaino, ed ero sempre più ansioso di mostrare a tutti la mia scatola del pranzo con sopra le Tartarughe Ninja. Avevo ormai preso l’abitudine di mia mamma di chiamare quei bambini che non avevo ancora conosciuto “amici”, ma guardando le condizioni del mio gesso avevo paura che non avrei potuto utilizzare quell’appellativo con nessuno prima della fine della giornata.

Sconfitto, lo mostrai a mia mamma.

Ci vollero trenta minuti per asciugare il tutto cercando di mantenere intatto il resto del gesso. Per risolvere il problema dell’odore mia mamma tagliò delle scaglie di sapone e le infilò dentro, sfregando il sapone rimasto sull’esterno, per soffocare l’odore del rancido con qualcosa di più piacevole. Quando finalmente arrivai in classe i miei compagni stavano già svolgendo la seconda attività della giornata, fui quindi infilato in uno dei gruppi. Non mi furono spiegate bene le regole di quel che c’era da fare, e nel giro di cinque minuti avevo talmente violato le regole che ognuno dei miei compagni si era lamentato con la maestra e le chiedeva come mai io avessi dovuto stare in quel gruppo. Avevo portato un pennarello a scuola così da poter collezionare qualche firma o qualche disegno sul gesso vicino a quella di mia mamma, e subito mi sentii stupido solo per l’aver pensato di mettere il pennarello in tasca quella mattina. L’asilo aveva la mensa insieme alla mia scuola elementare, ma nonostante la gran quantità di bambini mi sedetti ad un tavolo da solo. Stavo inconsciamente pizzicando l’estremità sfilacciata del mio gesso quando un ragazzo si sedette di fronte a me.

“Mi piace la tua scatola del pranzo,” disse.

Pensai che si stesse prendendo gioco di me e la rabbia cominciò a salire dentro di me; quella scatola era l’ultima cosa bella della giornata. Non tolsi lo sguardo dal mio braccio e sentii un bruciore all’occhio dovuto a un principio di lacrime che stavo cercando di trattenere. Spostai lentamente gli occhi verso il ragazzo per dirgli di andarsene, ma prima che potessi proferir parola vidi qualcosa che mi fece fermare.

Aveva la mia stessa scatola del pranzo.

Risi. “Piace anche a me la tua!”

“Penso che Michelangelo sia il più figo,” disse mimando delle mosse col Nunchaku.

Stavo per ribattere che Raffaello fosse il mio preferito quando lui urtò il suo cartone del latte aperto buttandolo giù dal tavolo e rovesciandosi addosso il contenuto. Provai a trattenere le risate dato che non lo conoscevo assolutamente, ma la faccia che avevo deve avergli fatto una buona impressione, perché rise lui per primo. Improvvisamente non mi sentivo più a disagio a causa del mio gesso, e pensai che lui non avrebbe fatto storie se gli avessi chiesto di firmarlo.

“Ehi! Vuoi firmare il mio gesso?”

Mentre tiravo fuori il pennarello mi chiese come l’avessi rotto. Gli dissi che ero caduto dall’albero più alto del quartiere, e sembrò impressionato. Lo guardai mentre si impegnava a scrivere il suo nome. Quando ebbe finito gli chiesi cosa ci fosse scritto. Mi rispose “Josh.”

Josh ed io pranzammo insieme tutti i giorni, e quando potevamo facevamo coppia per i progetti scolastici. Io lo aiutai con la sua calligrafia <took the blame fart>. Conobbi anche altri bambini, ma penso che sapessi fin da allora che Josh era il mio unico vero amico.

Portare un’amicizia al di fuori della scuola è effettivamente più difficile di quanto non sembri. Il giorno che abbiamo lanciato i nostri palloni ci divertimmo talmente tanto che chiesi a Josh se avesse voglia di venire a casa mia il giorno seguente per giocare. Lui disse che l’avrebbe fatto, e che avrebbe portato qualcuno dei suoi giochi. Dissi che avremmo anche potuto andare fuori ad esplorare e anche a fare il bagno nel lago. Quando tornai a casa lo chiesi a mia mamma e lei accettò la proposta. Il mio entusiasmo era alle stelle finché non mi accorsi che non avevo modo di contattare Josh per dirglielo. Passai tutto il weekend preoccupandomi del fatto che entro lunedì la nostra amicizia potesse venire dissolta.

Quando ci incontrammo a scuola fui decisamente sollevato nel constatare che anche lui era incorso negli stessi ostacoli, e che addirittura lo trovava divertente. Quella settimana ci ricordammo entrambi di scambiarci i numeri di telefono. Mia mamma parlò col papà di Josh e decisero che venerdì ci sarebbe venuta a prendere lei a scuola per portarci a casa mia. Alternavamo questo programma quasi tutte le settimane, e il fatto che tutti e due abitavamo vicini semplificava le cose ai nostri genitori, dato che lavoravano sempre.

Quando mia mamma ed io ci trasferimmo dall’altra parte della città ero sicuro che la nostra amicizia avesse raggiunto i suoi ultimi giorni. Quando uscimmo di casa sentii una tristezza che sapevo non venire solo dal fatto che abbandonavo la casa dove avevo vissuto fino a quel momento, stavo dicendo addio al mio amico per sempre. Ma Josh ed io, con mia grande sorpresa e felicità, rimanemmo vicini.

Anche se passavamo la maggior parte del tempo lontani e riuscivamo a vederci solo nel week-end le nostre personalità si amalgamarono, il senso dell’umorismo di uno completava quello dell’altro, e scoprimmo che ci piacevano le stesse cose anche senza esserci messi d’accordo. Ci assomigliavamo anche nella voce, e quando io andavo a stare da Josh spesso lui chiamava mia mamma facendo finta di essere me, la maggior parte delle volte riuscendoci. Mia madre ogni tanto ci diceva che l’unica cosa per la quale riusciva a distinguerci erano i nostri capelli: lui li aveva lisci, di colore biondo sporco come sua sorella, mentre io li avevo marrone scuro e riccioli come mia madre. Qualcuno potrebbe pensare che le cause dell’allontanamento di due giovani amici siano fuori dal loro controllo, nel nostro caso io penso che il catalizzatore del nostro distacco sia stata la mia insistenza nel voler introdurci di soppiatto nella mia vecchia casa per cercare Boxes. Il fine settimana successivo invitai Josh a casa mia, per mantenere la tradizione, ma lui disse che non se la sentiva molto. Cominciammo a vederci sempre meno, da una volta a settimana, ad una volta al mese, ad una volta ogni due mesi.

Per il mio dodicesimo compleanno mia mamma organizzò la festa. Non mi ero fatto molti amici da quando mi ero trasferito, perciò non poté essere una festa a sorpresa, dato che mia mamma non sapeva chi invitare. Le dissi la manciata di bambini con i quali ero diventato confidente e chiamai Josh per vedere se avesse voluto venire. All’inizio mi disse che non sapeva se sarebbe riuscito ad esserci, ma il giorno prima della festa mi chiamò per dirmi che ci sarebbe stato. Ero davvero emozionato perché non lo vedevo da diversi mesi.

La festa andò decisamente bene. La mia maggior preoccupazione fu quella che Josh e gli altri bambini non si trovassero bene, ma alla fine si trovarono tutti a loro agio. Josh era sorprendentemente calmo. Non mi aveva portato un regalo, e si era scusato per questo, ma gli dissi che non era assolutamente un problema, ero solo veramente contento che lui fosse riuscito a venire. Provai a parlare con lui diverse volte, ma sembrava che tutte le discussioni arrivassero presto ad un punto morto. Gli chiesi che avesse, gli dissi che non avevo capito come le cose tra me e lui fossero diventate così imbarazzanti. Non era mai stato così, prima. Eravamo abituati ad incontrarci ogni fine settimana e parlare al telefono quasi ogni giorno. Gli chiesi che cosa ci fosse successo. Lui alzò gli occhi dalla punta delle sue scarpe e mi disse: “Te ne sei andato.”

Subito dopo che lui ebbe pronunciato quella frase mia madre gridò dall’altra stanza che era ora di aprire i regali. Forzai un sorriso ed entrai nel salotto mentre tutti cantavano “Buon compleanno.” C’erano un paio di scatole incartate e un sacco di cartoline, dato che gran parte della mia famiglia estesa viveva fuori dalla nazione.

Molti dei regali erano sciocchi e dimenticabili, ma mi ricordo che Brian mi regalò un giocattolo di Mighty Max a forma di serpente che conservai per anni. Mia mamma insistette sul fatto che io aprissi lentamente tutte le lettere che mi erano arrivate e ringraziassi ogni volta la persona che l’aveva portata, perché diversi anni prima, durante Natale, nella foga di aprire tutti i regali distrussi tutti gli involucri e con essi la possibilità di riconoscere chi mi aveva inviato cosa.

Avevamo separato prima gli auguri che mi erano arrivati per via postale e quelli che mi erano stati portati quel giorni, così i presenti non avrebbero dovuto sorbirsi me che aprivo lettere da gente che non conoscevano. Molte delle buste portate dai miei amici contenevano un paio di dollari, mentre il contenuto di quelle della mia famiglia era più sostanzioso.

Una busta non aveva il mio nome scritto sopra, ma era dentro al mucchio quindi la aprii. La lettera aveva un generico pattern floreale sul davanti, e sembrava che fosse stata ricevuta da qualcun altro che poi l’aveva riciclata per il mio compleanno, perché era effettivamente squallida. Ma apprezzai davvero l’idea che fosse riutilizzata, in quanto io ho sempre pensato che le cartoline d’auguri fossero alquanto stupide. La piegai in modo che le monete che c’erano dentro non sarebbero cadute quando l’avessi aperta, ma l’unica cosa contenuta era il messaggio prestampato.

“Ti voglio bene.”

Chiunque mi aveva dato quella cartolina non ci aveva scritto nulla, ma aveva cerchiato un paio di volte il messaggio con una biro.

Ridacchiai un po’ e dissi: “Cavoli, grazie per la fantastica cartolina, mamma!”

Lei mi guardò confusa, poi rivolse la sua attenzione alla cartolina. Mi disse che non era sua e sembrò divertita quando la mostrò ai miei amici, guardando le loro facce per capire chi potesse aver fatto lo scherzo. Nessuno degli altri bambini si mosse, così mia mamma disse: “Non preoccuparti, zuccherino, almeno sai che due persone ti vogliono bene!” e fece seguire a questo un lungo e straziante bacio sulla fronte, che trasformò lo smarrimento generale in isteria di gruppo. Stavano ridendo tutti, quindi poteva essere stato uno qualunque di loro, ma Mike sembrava essere quello che rideva più di tutti. Per diventare un partecipante allo scherzo, e non quello di cui si rideva, gli dissi che solo perché mi aveva mandato quella cartolina non doveva aspettarsi che l’avrei baciato, dopo. Ridemmo tutti, e quando guardai Josh lo vidi finalmente sorridere. “Beh, quello potrebbe essere il regalo migliore, ma ne hai ancora due da aprire!”

Mia mamma fece scivolare un altro regalo di fronte a me. Sentivo ancora i tremori delle risate soffocate nel mio addome mentre stracciavo la carta colorata che avvolgeva la scatola.

Quando però vidi il regalo non avevo più bisogno di sopprimere le risa. Il mio sorriso cadde quando vidi quello che mi era stato regalato.

Era un paio di walkie-talkie.

“Beh, vai avanti! Mostrali a tutti!”

Li sollevai, e tutti sembravano approvare, ma quando volsi la mia attenzione a Josh vidi che era diventato di una brutta sfumatura biancastra. Ci guardammo negli occhi per un momento, poi lui si girò e torno nella cucina. Mentre lo guardavo digitare un numero sul telefono di casa appeso al muro mia mamma mi sussurrò all’orecchio che lei sapeva che Josh ed io non parlavamo molto da quando uno dei due walkie-talkie si era rotto, e lei aveva pensato che ci avrebbe fatto piacere. Ero molto commosso dal pensiero di mia madre, ma questo sentimento venne subito sopraffatto dalle emozioni richiamate dai ricordi che avevo provato così faticosamente a sotterrare.

Quando tutti stavano mangiando la torta chiesi a Josh chi aveva chiamato. Mi disse che non si sentiva bene, quindi aveva chiesto a suo papà di venirlo a prendere. Capii che voleva andarsene, ma gli dissi che mi sarebbe piaciuto stare insieme ancora un po’. Gli porsi uno degli walkie-talkie, ma lui alzò la mano in segno di rifiuto. Abbattuto, dissi: “Beh, grazie per essere venuto. Spero di vederti prima del mio prossimo compleanno.”

“Mi spiace… Proverò a chiamarti più spesso. Lo farò davvero.” Disse lui.

La conversazione si fermò lì mentre aspettavamo suo papà sulla mia porta. Lo guardai in faccia. Josh sembrava davvero dispiaciuto di non aver fatto qualche sforzo in più. Il suo umore sembrò improvvisamente ravvivarsi da un’idea che gli passò per la mente. Mi disse che sapeva che cosa mi avrebbe regalato per il mio compleanno. Ci sarebbe voluto un po’, ma mi sarebbe piaciuto. Gli dissi che non ce n’era bisogno, ma lui insistette. Sembrava che si fosse tirato su di morale, e si scusò di essere stato una seccatura alla festa. Disse che era stanco perché non aveva dormito molto bene. Gli chiesi come mai nel momento in cui lui aprì la porta in risposta al clacson della macchina di suo papà nel cortile. Si girò verso di me e agitò la mano per salutarmi mentre mi rispondeva: “Penso di essere stato sonnambulo.”

Quella fu l’ultima volta che vidi il mio amico, e un paio di mesi più tardi lui era sparito.

Nelle settimane successive la relazione tra me e mia madre divenne sempre più tesa, a causa del mio desiderio di conoscere i dettagli della mia infanzia. Succede spesso che uno non capisca quale sia il punto di rottura di una cosa finché quella cosa non si rompe, e dopo quella conversazione con mia madre immaginai che avremmo passato tutta la vita a rimettere insieme quello che avevamo impiegato una vita a costruire. Lei aveva messo così tante energie nel tenermi al sicuro, sia fisicamente che psicologicamente, ma io penso che i muri che dovevano proteggermi stavano anche mantenendo salda la sua stabilità emotiva.

Mentre la verità veniva fuori l’ultima volta che parlammo potevo sentire un tremito nella sua voce, un riverbero del collasso del suo mondo. Non penso che io e mia madre parleremo ancora molto, ma anche se ci sono diverse cose che non so, penso di sapere abbastanza.

Dopo che Josh sparì, i suoi genitori avevano fatto tutto ciò che potevano per trovarlo. Fin dal primo giorno la polizia aveva suggerito di contattare tutti i genitori degli amici di Josh per verificare se fosse con qualcuno di loro. L’avevano fatto, naturalmente, ma nessuno sembrava averlo visto o aveva idea di dove potesse essere. La polizia non riuscì a trovare nessuna informazione sulla sua localizzazione, nonostante avesse ricevuto diverse chiamate da una donna che li esortava a comparare questo caso con quello dello stalker che avevano aperto sei anni prima.

Se la resistenza della mamma di Josh diminuì quando suo figlio sparì, cessò di esistere quando Veronica morì. Lei aveva visto diverse persone morire in ospedale, ma non esiste desensibilizzazione che possa fortificare una persona al punto di resistere alla morte del proprio figlio. Aveva l’abitudine di andare a far visita a Veronica due volte al giorno da quando si stava rimettendo, in un altro ospedale. Il giorno che Veronica morì, sua madre aveva fatto tardi al lavoro, e nel tempo che ci mise ad arrivare all’ospedale Veronica era già trapassata. Questo era troppo per lei, e nelle due seguenti settimane divenne sempre più instabile. Cominciò a girovagare a casaccio chiamando a gran voce Josh e Veronica per farli tornare a casa, e diverse volte suo marito la trovò nel mio vecchio quartiere nel mezzo della notte, semi-svestita e frenetica nella sua ricerca.

A causa del deterioramento mentale di sua moglie, il padre di Josh non poté più viaggiare per lavoro, così cominciò ad accettare lavori di costruzione meno remunerativi ma che gli permettessero di stare più vicino a casa. Quando cominciarono ad espandere il mio vecchio quartiere, circa tre mesi dopo la morte di Veronica, il padre di Josh fece richiesta per ogni mansione e venne quindi ingaggiato. Era qualificato per costruire le fondamenta, ma gli diedero la mansione di costruire gli infissi e gli affidarono la pulizia del cantiere e di qualsiasi altra cosa ci fosse bisogno. Accettò anche i più disparati lavori che gli si presentavano, come tagliare il prato o riparare staccionate. Qualsiasi cosa gli permettesse di non viaggiare.

Cominciarono a ripulire il bosco vicino all’affluente per trasformare la terra in una proprietà abitabile. Al papà di Josh fu affidato il compito di livellare il lotto di terra deforestato da poco, e quell’impiego gli garantì diverse settimane di lavoro. Il terzo giorno arrivò ad un punto che non riusciva a livellare. Per quanta calce ci passasse sopra, quel punto rimaneva sempre più in basso rispetto al resto del terreno. Frustrato, scese dalla macchina per esaminare l’area. Era tentato di ricoprire semplicemente con del terreno la depressione, ma sapeva che sarebbe stata una soluzione unicamente estetica e temporanea. Aveva lavorato abbastanza nel mondo delle costruzioni per sapere che i rimasugli delle radici degli alberi nei terreni liberati di recente spesso decomponevano e rendevano debole il suolo, che sarebbe poi andato ad inficiare la stabilità delle costruzioni. Provò a scavare un po’ con una pala per verificare che il problema non fosse così grave da dover far arrivare una macchina apposita da un altro cantiere. Quando mia madre mi descrisse dove fosse il posto, sapevo che ero già stato là, prima che il terreno venisse scavato e successivamente riempito.

Sentii un lampo nel petto.

Lui scavò un piccolo buco profondo circa un metro finché la sua pala non incontrò qualcosa di duro. Picchiò ripetutamente, in modo da saggiare la consistenza della radice, quando improvvisamente la pala non si fece strada attraverso il corpo estraneo.

Confuso, allargò il buco. Dopo circa mezz’ora di scavo si trovò in piedi sopra ad una scatola coperta da un lenzuolo marrone, lunga circa due metri e larga uno.

La nostra mente tende ad evitare le dissonanze. Se noi crediamo fermamente in qualcosa, il nostro subconscio rigetta con forza ogni prova contro di essa, così da mantenere l’integrità nella nostra percezione del mondo. Fino all’ultimo, nonostante tutto ciò che indicavano i sensi, nonostante il fatto che una piccola parte di lui sapeva cosa stava reggendo il suo peso, l’uomo credeva, sapeva, che suo figlio fosse ancora vivo.

Mia madre ricevette una chiamata alle sei di pomeriggio. Sapeva chi fosse, ma non capiva che stesse dicendo, ma quello che comprese la fece uscire di casa immediatamente.

“QUAGGIÙ… ADESSO… MIO FIGLIO… ODDIO”

Quando arrivò trovò il padre di Josh seduto in modo composto con le spalle verso il buco. Stringeva la pala così forte che sembrava dovesse spezzarsi da un momento all’altro, e fissava dritto avanti a sé con gli occhi che parevano senza vita quasi quanto quelli di uno squalo. Non rispondeva ad alcuna parola, e reagì solo quando lei cercò di togliergli con delicatezza la pala dalle mani.

Trascinò gli occhi lentamente verso di lei e disse solo, “Non capisco.” Ripeté questa frase come se avesse dimenticato tutte le altre parole, e mia madre poté sentirlo borbottare ancora quando lei gli passò accanto per guardare nel buco.

Lei mi disse che avrebbe desiderato strapparsi via gli occhi prima di volgere lo sguardo nel cratere, e le dissi che sapevo cosa stava per dire e che non c’era bisogno di continuare. Osservai la sua faccia ed era contrita in un’espressione di intensa disperazione che mi mosse nelle viscere. Realizzai che sapeva di tutto ciò da almeno dieci anni e sperava che non avrebbe mai dovuto dirmelo. Di conseguenza, non seppe mai mettere insieme una frase decente per descrivere cosa vide, e mentre mi siedo qui incontro il suo stesso problema di articolazione.

Josh era morto. La sua faccia era scavata e contorta in un modo come se tutta la sofferenza e la disperazione del mondo si fossero manifestate su di lui. L’odore aggressivo della putrefazione si emanò dalla cripta, e mia madre dovette coprirsi il naso e la bocca per trattenere i conati. La sua pelle era squamata, quasi come quella di un coccodrillo, ed un fiotto di sangue che aveva percorso queste linee si era coagulato sul viso dopo essersi stagnato e sparso sul legno attorno alla sua testa. I suoi occhi rimanevano semichiusi, fissi verso l’alto. Lei disse che da come appariva non doveva essere morto da molto, quindi il tempo non aveva portato la pietà della degradazione a cancellare il dolore e il terrore che ora erano stampati sulla sua faccia. Disse che era come se avesse guardato proprio lei, la sua bocca aperta che offriva una tardiva richiesta d’aiuto. Il resto del corpo, comunque, non era visibile.

Qualcun altro lo copriva.

Era grosso e giaceva a faccia in giù sul corpo di Josh, e mentre la mente di mia madre cercava di afferrava quello che i suoi occhi le stavano dicendo, divenne conscia del modo in cui era steso.

Stava trattenendo Josh.

Le loro gambe erano congelate dalla morte, ma attorcigliate le une alle altre come rampicanti di qualche foresta tropicale. Un braccio giaceva sotto il collo di Josh solo per stringersi attorno al suo corpo ancora più vicino.

Mentre il sole passava attraverso gli alberi la sua luce venne riflessa da qualcosa appuntato sulla t-shirt di Josh. Mia madre s’inginocchiò su una gamba sola e tirò su il collo della maglia per tapparsi il naso, in modo tale da poter bloccare l’odore. Quando vide cosa colpirono i raggi del sole, le sue gambe cedettero e quasi cadde nella tomba.

Era una foto…

Era una foto di me da bambino.

Lei si stupì ansimando e tremando, e si scontrò con il padre di Josh che sedeva ancora dando le spalle al buco. Capì perché la chiamò, ma non poté trattenersi dal dirgli cosa aveva nascosto a chiunque per tutti questi anni. La famiglia di Josh non seppe mai della notte in cui mi svegliai nei boschi. Lei seppe ora che avrebbe dovuto dirglielo, ma dirlo adesso non avrebbe cambiato nulla. Quando si sedette, poggiando la schiena su quella del padre di Josh, lui parlò.

“Non posso dirlo a mia moglie. Non posso dirle che il nostro figliolo—” il suo discorso terminò in singhiozzi mentre affondava il viso bagnato nelle mani sporche. “Non potrebbe sopportarlo…”

Dopo un po’ si alzò di colpo e si mosse a fatica verso la tomba. Con un ultimo singhiozzo scese giù. Il padre di Josh era un uomo grande, ma non quanto quello nella buca. Afferrò il retro della maglia dell’uomo e tirò forte – come se avesse intenzione di allontanarlo dalla tomba in un moto singolare. Ma il collo della maglia si ruppe e il corpo si schiantò di nuovo sopra quello del figlio.

“FIGLIO DI PUTTANA!”

Afferrò l’uomo per le spalle e lo trascinò finché Josh non fu libero e sedette maldestramente, ma sul ciglio della tomba. Guardò l’uomo e fece un passo indietro.

“Oh Dio.. Oh Dio, no. No. no, no per favore Dio, PER FAVORE DIO NO.”

In uno struggente ma potente movimento innalzò e spinse il corpo fuori dalla terra completamente ed entrambi sentirono il suono del vetro cozzare conto il legno. Era una bottiglia. La porse a mia madre.

Era etere.

“Oh Josh.” Singhiozzò. “Il mio bambino.. mio figlio. Perché c’è così tanto sangue?! COSA TI HA FATTO?!”

Mentre mia madre guardava l’uomo che ora giaceva a faccia in su, capì di stare al cospetto della persona che ci aveva braccati per oltre dieci anni. Lo aveva immaginato così tante volte, sempre maligno e sempre terrificante, e i pianti del padre di Josh sembravano confermare le sue paure peggiori. Ma mentre fissava la sua faccia pensò che non assomigliava a quello che aveva immaginato – era solo un uomo.

Guardando la sua espressione pietrificata, sembrava effettivamente serena. Gli angoli delle labbra erano leggermente arricciati; vide che stava sorridendo. Non con il sorriso di un maniaco da tipico film horror; non il sorriso di un demone o il sorriso di un maligno. Quello era un sorriso di contentezza o soddisfazione. Era un sorriso di beatitudine.

Era un sorriso d’amore.

Mentre osservava i tratti dell’uomo notò una tremenda ferita sul collo dal punto in cui la pelle era stata strappata. Dapprima fu sollevata ad aver scoperto che il sangue non era quello di Josh. Almeno ha sofferto poco. Ma questo sollievo ebbe vita breve quando capì quanto si stesse sbagliando. Si portò una mano alla bocca e sospirò, quasi come se temesse di ricordare cosa era accaduto.

“Erano vivi”.

Josh doveva aver morso il collo dell’uomo in un tentativo di liberarsi, e nonostante fosse morto Josh non riuscì a muoverlo. Io cominciai a piangere quando pensai a quanto a lungo rimase steso lì.

Lei controllò il portafogli dell’uomo per cercare dati personali, ma trovò solo un pezzo di carta. Su di esso vi era il disegno di un uomo che teneva per mano un bambino piccolo e vicino al bambino vi erano delle iniziali.

Le mie.

Mi piacerebbe pensare che stesse ricordando con trascuratezza quella parte della storia, ma non lo saprò mai per certo.

Quando il padre di Josh trascinò fuori il corpo del figlio dalla tomba, mia madre piegò il pezzo di carta nel suo portadocumenti. Continuava a borbottare che i capelli di suo figlio erano stati tinti. Lei notò che era così – ora era moro, e vide che era vestito in modo strano; gli abiti erano davvero troppo piccoli. Dopo che il padre di Josh ebbe steso accuratamente suo figlio sulla soffice terra cominciò a tastargli con delicatezza i pantaloni per scovare il portafogli; sentì un’increspatura. Tolse con attenzione un pezzo di carta dal portafogli di Josh. Lo guardò ma era rovinato. Lo porse distrattamente a mia madre ma non riuscì comunque a riconoscere nulla. Le chiesi cosa fosse. Mi disse che era una mappa, e sentii il mio cuore palpitare. Stava finendo la mappa – quella doveva essere la sua idea per il mio regalo di compleanno. Mi ritrovai stranamente a sperare che non l’avessero preso mentre la pianificava – come se avesse avuto importanza.

Lei sentì il padre di Josh borbottare e lo vide spingere il corpo dell’uomo di nuovo nella fossa. Mentre tornava alla macchina che trovò il posto per lui pose una mano su una tanica di benzina e fece una pausa, rivolgendo la schiena a mia madre.

“Dovresti andare.”

“Mi dispiace tanto.”

“Non è colpa tua, l’ho fatto io.”

“Non puoi pensare così. Non c’era null–”

La interruppe di colpo, quasi privo d’emozioni. “Quasi un mese fa un tipo mi si avvicinò mentre stavo pulendo il sito di un nuovo progetto. Mi chiese se volevo guadagnare qualche soldo extra, e visto che mia moglie non sta lavorando adesso accettai. Mi disse che alcuni ragazzini avevano scavato un paio di buchi nella sua proprietà e mi offrì 100$ per riempirli. Disse che prima voleva scattare qualche foto per la compagnia assicurativa, ma che se fossi tornato dopo le 5 del pomeriggio seguente sarebbe stato ok. Pensai che il tipo fosse un babbeo visto che lo sgombero di quella zona stava per iniziare quindi qualcuno l’avrebbe fatto comunque, ma avevo bisogno di quei soldi per cui accettai. Non pensavo nemmeno avesse 100$, ma mise la cifra in mano mia e feci il lavoro il giorno dopo. Ero così esausto che non ci pensai neppure dopo che terminai. Non ci pensai fino ad oggi quando tirai via il corpo di quell’uomo da mio figlio.”

Indicò la tomba e le sue emozioni cominciarono a scaturire mentre si abbandonava ai singhiozzi.

“Mi pagò 100 dollari cosicché lo potessi seppellire con il mio ragazzo…”

Quando lei guardò indietro, raggiunta l’auto, vide un rivolo di nero fumo spirare e stagliarsi su un cielo d’ambra e sperò vivamente che i genitori di Josh sarebbero stati bene. Lasciai la casa di mia madre senza dire nient’altro. Le dissi che le volevo bene e che le avrei parlato presto, ma non so con esattezza cosa significhi “presto” per noi.

Entrai in macchina e me ne andai.

Capii allora perché gli eventi della mia infanzia si fossero interrotti anni fa. Oggi che sono adulto, riesco a vedere la connessione che si erano perse in un bambino che vede il mondo in scatti singoli invece che in sequenze. Pensai a Josh. Lo amai allora, e lo amo ancora adesso. Mi manca ancora di più sapendo che non posso più rivederlo, e mi trovo spesso a desiderare di averlo abbracciato l’ultima volta che ci vedemmo. Pensai ai genitori di Josh – a quanto hanno perso e quanto velocemente quella perdita era sopraggiunta. Loro non hanno idea di quanto io sia coinvolto in questo, ma non potrei più guardarli negli occhi. Pensai a Veronica. La conobbi veramente tardi nella mia vita, ma per quelle brevi settimane le volli davvero bene. Pensai a mia madre. Tentò così tenacemente di proteggermi ed era stata più forte di quanto io potrò mai essere. Provai a non pensare all’uomo e a quello che fece con Josh per più di due anni. Fondamentalmente, penso solo a Josh. A volte desidero che lui non si fosse mai seduto davanti a me quel giorno all’asilo; che non avessi mai saputo cosa potesse significare avere un amico vero. A volte mi piace immaginare che sia in un posto migliore, ma è solo una fantasia, e me ne rendo conto. Il mondo è un posto crudele reso ancor più crudele dagli uomini. Non ci sarebbe stata alcuna giustizia per il mio amico, nessun confronto, nessuna vendetta; era finita per almeno dieci anni per tutti tranne che per me.

Mi manchi, Josh. Mi dispiace che tu abbia scelto me, ma terrò sempre stretto il ricordo che ho di te.

Eravamo esploratori.

Eravamo avventurieri.

Eravamo amici.

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