Home » Il Delitto Basa

Il Delitto Basa

 
La maggior parte delle storie, tranne quelle nella categoria "Scritte da me" o "Scritte da voi" sono prese dal sito Creepypasta Italia Wiki

La casistica segnala un vasto numero di eventi in cui si racconta di un assassinato che torna dall’aldilà per perseguitare il suo assassino. Ma certamente uno dei casi più straordinari è quello riguardante l’omicidio della fisioterapista filippina Teresita Basa, accaduto a Chicago il 21 febbraio del 1977. Verso le 8,30 di quel mattino, i vigili del fuoco del dipartimento di Chicago sono chiamati a intervenire per un principio di incendio ai piani alti di un appartamento del North Side. Fatta irruzione nell’alloggio contrassegnato col numero 15b, avanzando attraverso un denso fumo nero, due vigili individuano il principio dell’incendio nella camera da letto. Un materasso ai piedi del letto sta bruciando. Bastano pochi minuti per spegnere il focolaio e far uscire il fumo dalla finestra. Ma quando i due sollevano il materasso per rimuoverlo, da sotto viene fuori il corpo nudo di una donna, le gambe aperte, il petto dilaniato dalla lama di un coltello da cucina. Si tratta della figlia di un giudice, una donna di 48 anni, nativa della città di Damaguete nelle Filippine; una fisioterapista specializzata in problemi respiratori – forse perché il padre era morto per complicazioni di questo tipo – all’epoca della morte impiegata presso l’Edgewater Hospital di Chicago. Secondo le analisi medico legali Teresita aveva aperto la porta di casa a qualcuno che conosceva; quando era suonato il campanello stava parlando al telefono con un amico. L’ignota persona l’aveva afferrata da dietro e soffocata fino a farle perdere i sensi. Aveva arraffato il danaro dalla borsetta e messo a soqquadro l’appartamento. Poi le aveva strappato di dosso i vestiti, era corso in cucina e l’aveva trucidata con un coltellaccio. Prima di fuggire aveva incendiato il materasso con un foglio di carta, lo aveva rovesciato sul cadavere e aveva lasciato la casa. Quando l’allarme antincendio era scattato, l’assassino si era già allontanato di alcuni isolati. La donna non aveva subito violenza sessuale. Risultò che la povera Teresita era morta ancora vergine. Remy (diminutivo di Remibias) Chua, pure lei filippina, collega nel reparto di terapia respiratoria presso l’ospedale e una delle più care amiche di Teresita, le era legata da una forte simpatia e da una profonda amicizia. Due settimane dopo la morte di Teresita, Chua, a metà fra il serio e il faceto, aveva dichiarato ad alcuni amici: “Se non si verrà a capo del delitto, vorrà dire che Teresina me lo verrà a raccontare in sogno”. Dette queste parole, si era ritirata nello spogliatoio per un breve riposo. Mentre stava appisolandosi su una poltrona, all’improvviso aveva avvertito la necessità di aprire gli occhi, come se qualcuno la stesse chiamando. Davanti a lei stava Teresita che sembrava solida e concreta. Terrorizzata, Chua era scappata via dalla stanza. Nelle due settimane seguenti, due cari amici e colleghi di Chua incominciarono a osservare in lei strani cambiamenti: si comportava e imitava Teresita Basa. Anche il marito, il dottor Josè Chua, non aveva potuto fare a meno di notare il mutamento, rendendosi conto che la moglie stava subendo un improvviso sconvolgimento di personalità. Normalmente allegra e solare, si era fatta prepotente e malinconica, proprio come Teresita.

Verso la fine di luglio, a cinque mesi dall’assassinio, un giorno Remy Chua, sapendo che avrebbe dovuto lavorare con un infermiere dell’ospedale, un certo Allan Showery, era stata improvvisamente colta da una crisi di panico. Sebbene l’imponente mole di Showery, un uomo di colore grande e grosso, potesse intimidire, il suo carattere era gioviale e cordiale. Tuttavia, quando Chua l’aveva sentito arrivare, era scattato in lei un involontario riflesso: aveva come tentato di guardarsi alle spalle – forse con lo stesso sguardo disperato che Teresita aveva avuto quando era stata assalita da dietro, nel momento in cui l’assassino le aveva stretto l’avambraccio attorno al collo per soffocarla – e, senza un’apparente ragione, il cuore le era come scoppiato nel petto. Ritenendo di essere preda di un esaurimento nervoso, a seguito di quell’episodio aveva chiesto e ottenuto qualche giorno di astensione dal lavoro. Quella stessa notte, il marito l’aveva sentita mormorare nel letto: “A1-A1-Al…”. Una volta sveglia, gli aveva raccontato di aver sognato di trovarsi in una stanza tutta piena di fumo, poi si era riaddormentata. La mattina, si era ammalata ed era così spaventata che aveva convocato tutti i suoi parenti. Poi aveva assunto un sedativo e si era rimessa a letto, ma trascorse poche ore era ripiombata nell’agitazione. Nel delirio aveva preso a balbettare parole in spagnolo, una lingua che Remy Chua non conosceva affatto. Il marito, inginocchiato ai piedi del letto, aveva incominciato a interrogarla: «Chi sei, chi sei?», le aveva chiesto. E lei, di rimando: «Sono Teresita, Teresita Basa». Quando l’uomo le aveva chiesto che cosa desiderasse, si era sentito rispondere: «Ho bisogno d’aiuto… L’uomo che mi ha uccisa è impunito». Dopo qualche istante Teresita si era ritirata e Remy Chua era tornata se stessa.

Due giorni dopo era stata colta da un fortissimo dolore al petto, cui era seguita una forte sensazione «come se qualcuno mi stesse calpestando». Aveva detto alla madre (che viveva con lei): «Ecco, sento che Tenie sta di nuovo arrivando». Al rientro a casa, il marito aveva trovato Remy a letto. Stava parlando con la voce di Teresita Basa, usando un tono di rimprovero. «Quando ti decidi ad andare alla polizia?». Al diniego dell’uomo che si giustificava dicendo che non disponeva di alcuna prova, la voce si era fatta ancora più forte e aveva sentenziato: «È stato Allen a uccidermi. L’ho fatto entrare nel mio appartamento e lui mi ha uccisa». Dopo un po’ lo stravagante comportamento possessivo della signora Chua aveva incominciato a mettere in crisi tutta la famiglia (i Chua avevano quattro figli). Alla fine, esasperato, il dottor Chua aveva deciso di confidarsi con il suo capo presso il Franklin Park Hospital, il dottor Winograd. Questi, estremamente interessato, pur avendo preso in considerazione il fenomeno di “possessione” con molta serietà, sapeva che la polizia avrebbe avuto tutt’altro atteggiamento, ritenendo la storia frutto di una mente maniacale. L’unica cosa da fare era quella di inviare una lettera anonima d’accusa. Ma un’idea ancora migliore venne suggerita dall’entità. Caduta in trance, Remy Chua aveva chiesto al marito come mai non avesse fatto quel che gli aveva chiesto. Questi, al solito, si era trincerato dietro la cronica mancanza di prove. «Non è vero – aveva sentenziato la voce – le prove ci sono. Allen ha sottratto tutti i miei gioielli e li ha regalati alla sua ragazza. È facile scoprirlo, visto che vivono insieme». «Ma come sarà possibile riconoscere gli oggetti?» «Lo faranno i miei cugini, Ron Somera e Ken Basa, loro sono in grado di farlo. Oppure i miei amici, Richard Fessoti e Ray King». Poi la voce aveva dettato il numero telefonico di Somera. «Allen era venuto per aggiustarmi il televisore, mi ha ucciso e bruciato. Chiama la polizia».

Alla fine, il dottor Chua aveva deciso di agire e, preso coraggio, aveva chiamato la centrale di polizia di Evanston. L’8 agosto 1977, il caso Basa veniva assegnato all’agente Joseph Stachula. Ovviamente, la storia lo lasciava perplesso, tuttavia aveva avvertito sin da subito che nascondeva un fondo di verità. La difficoltà stava nel cercare di utilizzare quei dati apparentemente strabilianti in modo concreto. Andare a pizzicare Allan Showery e gettarlo in galera sulla scorta della testimonianza scaturita dalla presunta voce di una morta non era possibile. Tuttavia Stachula prese a indagare sul passato di Showery, arrivando a concludere che avrebbe potuto benissimo essere lui l’assassino. Il suo passato lo testimoniava: i guai con la giustizia non erano pochi. In aggiunta, abitava solo a pochi isolati di distanza da Teresita.

Con la scusa di raccogliere elementi utili all’indagine, Showery era stato invitato alla centrale per un breve interrogatorio. Gli venne chiesto se rispondeva a verità il fatto che il giorno del delitto si era recato dalla Basa per metterle a posto il televisore. Aveva risposto che, sì, lo avrebbe dovuto fare, ma che invece, infilatosi in un bar per un drink, se ne era scordato e non era andato. Alla domanda se fosse mai stato nella casa della vittima aveva risposto con secco no, salvo cambiare repentinamente versione, una volta saputo che le sue impronte digitali corrispondevano a quelle rintracciate nell’alloggio di Teresita. In realtà c’era stato, lo aveva dimenticato, ma qualche mese prima. Alla fine, dopo un lungo tira e molla, aveva ammesso che ci era stato la sera dell’assassinio, ma che se n’era andato quasi subito perché, mancando del libretto di istruzioni e del piano dei circuiti del televisore, non aveva neppure iniziato la riparazione. A questo punto, Showery aveva incominciato a dare chiari segni di nervosismo. Gli investigatori lo avevano allora lasciato solo ed erano passati a interrogare Yanka, la sua compagna. La donna ricordava che quella sera – che rammentava benissimo per via del furgone dei vigili del fuoco che era passato nel quartiere – Showery era rientrato a casa piuttosto presto. Alla domanda se di recente il suo compagno le avesse regalato qualche monile, aveva mostrato agli inquirenti un bell’anello antico. Ce n’era abbastanza. La giovane era stata condotta alla stazione di polizia con il cofanetto dei suoi gioielli. Ad attenderla, intanto, erano già arrivati i due amici di Teresita, Richard Fessoti e Ray King. Non appena Fessoti aveva notato l’anello al dito di Yanka era saltato su, riconoscendolo come quello appartenuto a Teresita Basa. Anche alcuni altri gioielli vennero identificati senza esitazione. Davanti a quella conferma, l’agente Lee Epplen, partner di Stachula, aveva detto a Showery. «Bene, e adesso facciamola finita, una volta per tutte». Ma l’uomo, deciso, aveva risposto con stizza. «Poliziotti di merda, volete incastrarmi!». Quando gli erano stati presentati i gioielli non aveva esitato a negare, dicendo che li aveva acquistati al banco dei pegni, ma aveva perduto la ricevuta. La sceneggiata non poteva però continuare oltre. Ad un tratto Shower aveva chiesto di poter parlare con Yanka e, dopo qualche minuto, davanti ai poliziotti aveva confessato: «Yanka, ho una cosa da dirti. Sono stato io a uccidere Teresita Basa». Era convinto che Teresita fosse ricca e che derubandola avrebbe risolto ogni suo problema. Ma, dopo averla uccisa, e dopo aver frugato per tutta la casa, aveva racimolato solamente 30 dollari. Per far credere che si trattasse di un delitto a sfondo sessuale, aveva spogliato Teresita e allargato le gambe al cadavere. Poi le aveva squarciato il petto col coltellaccio da cucina e appiccato il fuoco al materasso, nella convinzione che il fuoco avrebbe cancellato ogni traccia del suo passaggio.

Il caso, che venne battezzato “la voce dall’oltretomba”, elettrizzò l’intero paese. Il processo di Showery accusato di omicidio iniziò il 21 gennaio 1979, giudice Frank W. Barbero. Ma la storia della “possessione” risultò così strampalata e poco attendibile che la giuria non fu in grado di emettere il verdetto. La difesa, inoltre, tenne a sottolineare, con un filo di sarcasmo, che fino a fatti contrari la prova fornita da un fantasma non poteva essere accolta in un tribunale. Cinque giorni dopo il caso venne chiuso. Tuttavia, il 23 febbraio dello stesso anno, Allan Showery riconosceva pubblicamente di essere lui l’assassino della povera Teresita Basa. Venne condannato complessivamente a diciotto anni, per omicidio e rapina.

AllenShowerysuspect 000
TeresitaBasa 000

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.