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L’ospedale

 
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Gli ospedali mi hanno sempre dato i brividi. E sfortunatamente per me, è lì che sono finito a passare la maggior parte del mio tempo quando i miei si sono divorziati. Sono finito a vivere con mia madre, che lavorava come infermiera nell’ospedale locale, di solito faceva dei turni che duravano tutta la notte. Quindi per parecchie notti sarei rimasto nella sala d’attesa dell’ospedale, facendo i compiti e pensando o chiedendo a mio padre se potessi trasferirmi da lui, anche se ormai viveva a tre stati di distanza.

Mentre stavo nella sala d’attesa vidi molte cose, dalle persone matte camminare avanti e indietro con il pollice mozzato nel thermos, alle giovani casalinghe isteriche che insistevano di avere un’emergenza perché il piccolo Timmy era caduto e aveva sbattuto la testa. Non era il sangue a darmi i brividi; non mi dava fastidio, ma l’atmosfera fredda e sterile. Tuttavia la cosa peggiore erano i rumori. Molto spesso sentivo da lontano i gemiti di pazienti gravemente feriti, o le grida di dolore di qualcuno che stava venendo medicato, o i sussurri silenziosi delle infermiere. Ma posso scommettere che il posto era molto più inquietante quando c’era l’assoluto silenzio.

Anche se non potevo, spesso uscivo dalla sala d’attesa per vagare nei corridoi dell’ospedale giusto per scappare dal silenzio. I rumori dei corridoi mi confortavano – l’eco dei miei passi, il beep emesso dalle macchine, la voce dell’altoparlante in lontananza.

Poi ci fu la notte in cui una donna in travaglio corse verso le porte dell’ospedale. Cominciarono subito l’operazione, sentii il dottore gridare che non c’era tempo per trasferire l’ostetrica. Dopo circa 20 minuti di urla agonizzanti, il silenzio. Origliando le infermiere poco tempo dopo, capii che la donna aveva subito un aborto spontaneo.

La notte proseguì e c’era uno dei soliti silenzi inquietanti, tranne per un rumore – il singhiozzio ovattato della donna. Non più in grado di sopportarlo, mi alzai e controllai che non ci fosse nessuno prima di fare un’altra delle mie lunghe camminate nel corridoio.

Sembrava tutto silenzioso, più del solito. Nessuna chiamata dall’altoparlante e sembravano non esserci nemmeno i beep delle macchine. Camminando verso uno dei corridoi verso l’angolo, mi fermai quando sentii un rumore inaspettato uscire dal nulla – è stato solo per un momento – era il gorgoglio di un bambino.

Mi guardai attorno ma non vidi nessuno; ero molto lontano dalla sala pediatrica. Perché ci sarebbe dovuto essere un bambino qua? Mi chiesi. Mi guardai indietro nella direzione da dove ero venuto, giusto in tempo per vedere l’estremità di un cordone ombelicale insanguinato lentamente essere trascinato dietro l’angolo e scomparire.

Mi trasferii da mio padre due settimane dopo.


Questa storia è stata tradotta da me, trovate la versione originale QUI

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