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Occhi Diversi

 
La maggior parte delle storie, tranne quelle nella categoria "Scritte da me" o "Scritte da voi" sono prese dal sito Creepypasta Italia Wiki

Different_EyesApro gli occhi e sospiro. Non so fare nient’altro. Penso e ragiono su tutto quello che ho fatto e sono. In questo ospedale le rose sono di plastica, nonostante il bel colore rosso cremisi. Non mi aggrada la loro presenza. Non sanno di nulla, perciò le cospargo di profumo il pomeriggio, almeno questo dovrebbe dare un ‘caloroso benvenuto’ ai miei visitatori.

Ma quali?

I corridoi odorano di farmaci e, sostanzialmente, di ospedale. Il solito odore, come quello che hanno i dottori addosso, che fa salire la nausea in zero petosecondi. Sarà perché utilizzano giorno e notte guanti in lattice e altri attrezzi del mestiere. Sfoglio il mio libro, non sono ancora riuscita a finirlo.

Perché sono qui? Da sola a rotolarmi nella mia noia mentale? Posso dire che è cominciato tutto dal giorno in cui sono morta. Sapete… quelle persone strambe che si svegliano da un coma e diventano i famosi sensitivi delle serie Tv? Beh, non voglio fare la modesta, ma io faccio parte di quella sezione di gente. Solo che non sono nemmeno finita in coma, ma subito nel mondo dei morti. E no, non ho superpoteri o la visione del futuro. I miei occhi sono solamente diversi da qualsiasi altro essere umano.

Mi chiamo Louise Marglerblay, sono nata a Strasburgo e cresciuta a Los Angeles, in California. E sì, sono il portale tra il mondo dei morti e il mondo dei vivi. All’inizio non ero altro che una ricercatrice dell’occulto, viaggiavo per l’America e gli altri stati, ma poi… successe l’imprevisto.

Venerdì sera, eravamo in sei, sei disadattati, sei complessati. Ognuno intento a fissare il bicchiere davanti a sé, seduti in silenzio intorno al tavolino rotondo del bar. “Blue Line” — qui c’è la figa, la gente giusta e si beve bene, yey! Mah, sul fatto che si bevesse bene non avevo dubbi, ma più mi guardavo intorno più mi accorgevo che non c’era né “la f#ga” né “la gente giusta”.

Sul fatto che si bevesse bene non avevo da ridire, ma di f#ga non ce n’era proprio traccia;

Vedevo soltanto liceali. Dio, quanto li odiavo. Al tavolo di fronte al nostro sedeva un gruppetto di quelle merde, erano in cinque, tre ragazzi e due ragazze. Il primo, quello più grosso, si chiamava Fabio, l’avevo già incontrato qualche mese prima quando, per sbaglio, ero finito alla sua stessa fermata. Era alto. Capelli corti, castani. Occhietti suini, marroni come la merda. Parlava con la ragazza seduta di fronte a lui, una nana bionda, con il naso storto e l’apparecchio. Si vedeva a chilometri che era un morto di figa sproporzionato e che stava parlando con quella solo perché a fine discussione si aspettava come minimo un bel chinotto. L’altro tizio, che sedeva alla sua destra, si chiamava Francesco. Lo conoscevo di vista.

Era un tizio banale, scontato, tutto calcio, f#ga e macchine. Uno di quelli che ovunque ti giri lo vedi. Aveva lo sguardo perso nella scollatura della ragazza con cui stava parlando. Lui annuiva. Con la bocca semi aperta e lo sguardo vuoto, credo che anche lui stesse sperando in un felice epilogo di quella discussione a cui partecipava solo a mugoli.  La ragazza che gli parlava si chiamava Clara, una puttana, che tempo prima era stata con un mio compagno di classe. L’aveva mollato, dopo avergli fatto spendere qualcosa come 50 euro in rose. Credo che lei, più della bionda col naso storto, fosse consapevole di come si sarebbe conclusa la serata. Il quinto, che sedeva al tavolo vicino al nostro, era quello a parer mio più interessante, mai visto prima. Media statura, capelli neri, ricci e corti. Occhialoni da hipster e il viso in preda all’acne

Stava li, leggermente dietro Fabio e lanciava occhiate rapide e costanti alla bionda. I classici sguardi dell’innamorato, per capirci. Non parlava. Semplicemente stava li e guardava, non aveva nemmeno un drink, nemmeno una birra. La serata intanto proseguiva, l’alcol sgorgava a fiumi e l’atmosfera si stava scaldando. I cinque liceali erano in procinto di uscire, Francesco teneva per mano Clara tutto sorridente e soddisfatto, Fabio invece sembrava aver qualche problema con la bionda. Il Quinto (lo chiameremo così) era sempre lì un po’ in disparte, che cacciava sorrisi falsi alle battute degli altri e continuava a guardare la tipa col naso storto e l’apparecchio.

Intanto i miei amici erano sprofondati nella classica presa male alcolica e giocherellavano tutti con i cellulari, e avrei fatto anche io lo stesso, (perché noi siamo una famiglia, una famiglia di disadattati ) se solo quello strano gruppo vicino a noi non avesse attirato la mia attenzione. Di li a poco i cinque uscirono dal bar, in direzione zona Oltre stazione, dove vivevano tutti nelle loro casette a schiera tipiche del ceto medio. Passeggiava, mano per mano, tutti intenti a trovare un posticino appartato. Li seguivano la bionda e Fabio che a quanto pare, stava per andare in bianco, in fondo stava Quinto, camminava piano, con le mani in tasca parlottando da solo. Fissava la bionda. E Dio solo sa cosa gli passava per la testa.

Si sentiva percorso da un brivido tetro e gli tremavano le mani. Stavano camminando già da un ora quando Francesco aveva preso Clara e l’aveva portata dietro una macchina posteggiata. Fabio moriva di invidia e provava disperatamente a sistemare la situazione con la bionda. Quinto invece, teneva stretto in mano, un grosso sasso, un pezzo di cemento, spigoloso e pesante. Ansimava. Nessuno se n’era accorto.  A dire la verità da quando avevano lasciato il locale nessuno si era curato di lui. La bionda si era seduta su una panchina fingendo di messaggiare, erano nel parcheggio nei pressi di un passaggio a livello. Francesco stava in piedi vicino a dove un muretto terminava in un angolo. Dietro a quell’angolo c’era Quinto, respirava con affanno e tremava. Sempre più pervaso da quel desiderio malato e contorto, era bastato un attimo di distrazione, un colpo, un tonfo sordo. Sangue che schizzava e un corpo che cadeva senza vita con la testa spaccata. Non un urlo, non un gemito, nessuno si era accorto di nulla. Fabio giaceva sul marciapiede, con gli occhi sbarrati, contornato da una pozza di sangue che si espandeva lentamente. Quinto respirava velocemente, il cuore gli batteva all’impazzata, sentiva gli occhi uscire dalle orbite, l’adrenalina a 1000, gli tremavano gambe e braccia. Stringeva il masso con così tanta forza che gli si stava lacerando la pelle delle mani. Era sporco di sangue e respirando rumorosamente si stava dirigendo verso la bionda che, ignara di quanto fosse appena successo, era tutta presa ad aggiornare il suo profilo Facebook – Forse avrebbe fatto bene a scriverci “sto per essere violentata ;)”

Quinto le si era avvicinato da dietro. era pervaso dal male, la stava strangolando con quelle mani sporche di sangue. Vedeva tutto sfocato, la bocca gli tracciava un ghigno malefico sul viso. In pochi secondi la tizia bionda col naso storto aveva perso i sensi. Quinto aveva iniziato a fare quello, che tutti voi potete bene immaginare. Nel frattempo Francesco e Clara avevano concluso e uno dopo l’altro erano sbucati dalla macchina dietro la quale si erano appartati. Clara aveva iniziato a gridare e Francesco dopo un attimo di esitazione aveva chiamato il 118. Avevano trovato il corpo senza vita i Fabio. Clara aveva notato la borsa della bionda sulla panchina… Ma lei non c’era più.

Che fine aveva fatto? E dov’era Quinto? Domande che di li a pochissimo dopo avrebbero trovato risposta. Da dietro un cespuglio proveniva un fruscio strano. Giulia attirata, era andata a controllare e si era ritrovata davanti al lugubre spettacolo. Si sentiva svenire e allo stesso tempo aveva bisogno di vomitare: Quinto si era tirato in piedi in un secondo ed era corso via. Correva. Correva all’impazzata verso il passaggio a livello. La sbarra si stava abbassando e i fari del treno si facevano sempre più vicini. Nella testa di Quinto c’era il casino più totale.  Pensava a quell’ultimo anno passato ad amare una tizia che nemmeno sapeva il suo nome, pensava a quello che aveva fatto quella notte, pensava a cosa ne sarebbe stato di lui e a 10000 alte cose tutto nello stesso istante. Il treno fischiava, quinto si era messo al centro del binario piangendo sempre più forte. Intanto Francesco lo aveva raggiunto. E gli gridava di allontanarsi. Ma oramai era tardi. In un secondo il treno lo aveva travolto, e aveva posto fine alla sua vita e a tutti i suoi tormenti. Io in quel momento ero ancora nel bar, ubriaca e con la testa appoggiata al tavolino.

Ma intanto pensavo “chissà come sarà finita la serata del Quinto in comodo…”

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