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Saint More

 
La maggior parte delle storie, tranne quelle nella categoria "Scritte da me" o "Scritte da voi" sono prese dal sito Creepypasta Italia Wiki

Un uomo vagava in un cimitero.

Non era lì per piangere un parente -o un amico- perduto, bensì per svolgere la sua mansione. Egli infatti apparteneva a quella categoria di individui bislacchi -e misteriosi- che la gente concorda a chiamare “becchini”, anche se lui preferiva essere appellato “necroforo”.

Trentasette minuti prima aveva seppellito tre disgraziati, e non ci volle molto nel farlo: nessuno dei tre ebbe la visita di un parente per l’ultimo addio. Quindi bastarono le esequie di padre Louis -che duravano tre minuti scarsi ciascuno-, e il seppellimento delle bare -altri tre minuti ciascuno- e il necroforo solitario si ritrovò inaspettatamente con la mattinata libera. Un tempo che non avrebbe sprecato, il lavoro era tanto -le pompe funebri non conoscono crisi-, ma decise di prendersi pochi minuti di quiete, girovagando nei suoi domini, nel cimitero di Saint More.

Si ergeva una mattina nuvolosa e ciò donava una luce grigia, cupa, perfetta per quel luogo dominato da silenziose lapidi. L’uomo decise che il suo tempo libero, per godersi quell’aria, era scaduto e ritornò nell’edificio della Società delle Pompe funebri, per preparare tre corpi per i funerali dell’indomani.

Il primo corpo: un anziano signore, morto a 93 anni per attacco cardiaco, disteso sul tavolo da lavoro di gelido acciaio. Il necroforo gli parlò: “hai vissuto tanto rispetto ai tuoi amici. Sei rimasto solo per un bel po’. Contento che ora ti unirai a loro?”

Il vecchio morto gli rispose: “almeno ora parlerò con qualcuno… ehi, senti questa. Ma un becchino quando gioca a carte… bara? capito? Bara!”

“Non fa ridere”.

Il defunto scoppiò in un sonora risata, senza muovere le labbra -era morto-. Tutti i morti che il necroforo preparava gli parlavano direttamente nella sua mente -anche se egli ancora non concordava sul fatto se fossero effettivamente loro a parlagli o se fosse semplicemente pazzo. In ogni caso, accettava di buon grado la compagnia dei morti, in quel solitario lavoro.

“Sai qual è il colmo per un becchino?”

“Questa è vecchia…”

“Avere le fossette quando ride! Capito?” e scoppiò in un’altra chiassosa risata che fece un fastidioso eco nella sua mente.

“Sarà una mattinata lunga…”

“Ehi cerca di essere gentile, sai perché? Perché tutti i becchini devono esserlo con i clienti… per assicurarsi che tornino!”

Pulì il corpo, lo vestì con l’abito che gli aveva dato il figlio del vecchio, pettinò quei pochi capelli bianchi ancora rimasti, lo truccò e si assicuro che non puzzasse di marcio per il funerale dell’indomani. In tutto gli ci vollero tre ore.

Finita la pausa pranzo, verso le 13.30, passò al secondo corpo: donna di 73 anni, morta per cancro ai polmoni. Il corpo era pronto, disteso sul tavolo: “allora…” lesse un’etichetta col nome, “Jasmine, abbiamo fumato qualche sigaretta di troppo, eh?”

La donna gli rispose con voce rauca, tipica di chi ha passato un’intera vita assoggettata dal vizio del fumo: “ognuno ha i suoi punti deboli, tesoro. I tuoi quali sono?”

Per tutto il tempo si persero in discorsi profondi e che -a dir il vero- annoiarono il necroforo solitario. In totale ci vollero cinque ore e mezza per finire la preparazione.

Senza fare una pausa, alle 18, iniziò col terzo corpo: una ragazza, 25 anni, morta per iperdosaggio di benzoilmetilecgonina -come era scritto nell’etichetta del cadavere. Il necroforo non capì, con aria fredda chiese alla defunta.

“Per cosa sei morta, scusami?”

Non ricevette risposta.

“Siamo silenziosi oggi, eh? Va bene, mi hai incuriosito. Più tardi andrò a vedere cosa significa benzoilcomesichiama”.

Era la prima volta che gli capitava di preparare un corpo così silenzioso. Non era difficile capire che in vita doveva essere una ragazza molto bella, e ciò era una problema: quando i defunti erano di bell’aspetto in vita, i parenti pretendono sempre che al momento del funerale il defunto rispecchi quella bellezza. Ciò richiedeva più lavoro del solito.

Finì alle 23, saltò l’orario della cena. Il necroforo cercò più volte di interagire col corpo, ma fu tutto inutile. La prima cosa che pensò è che forse la sua follia -sempre se era realmente follia- era finita, e che era finalmente guarito.

Il giorno dopo si tennero i tre funerali. L’anziano ricevette una sola visita per l’ultimo addio -il figlio-; l’anziana signora, invece, ne ricevette tre; la giovane ebbe un vero funerale, erano presenti innumerevoli persone.

Quel giorno non ebbe altri lavori, e la sera decise di fare una passeggiata nel cimitero per visitare la tomba della giovane venticinquenne. Aveva riflettuto molto su di lei per il fatto che non gli aveva parlato. Forse, veramente non poteva più sentire le voci dei morti. Aveva realmente perso quel suo strano potere?

Si inginocchiò davanti alla lapide di pietra. Lesse il nome scolpito: Elisabeth de Gévaudan. 1990-2015.

Sentì un bisbiglio nell’aria, gli pareva quasi come un ronzio di un insetto molto lontano. Trattenne il respiro per sentirlo meglio, nell’ambiente c’era un silenzio innaturale disturbato solo da quel sottile rumore. Poi il necroforo capì: non era un ronzio, era un’altra voce, nella sua testa. Una voce che non diceva parole sensate, ma urlava.

“La mia follia non è finita.” Si alzò: “almeno parlerò con qualcuno mentre lavoro…” Si alzò e se ne andò.

Il giorno dopo quando arrivò a Saint More e -non con poca sorpresa- trovò l’entrata del cancello sbarrata dal nastro giallo della polizia, con due agenti che la sorvegliavano. Uno di loro si rivolse a lui: “lei è il responsabile?”

“Sì, cos’è successo?” chiese il necroforo con aria stupita.

“Mi segua, prego”.

Lo portò da un uomo con un cappotto che si presentò come l’ispettore Burns: “buongiorno anche a lei. Le dovrei fare qualche domanda, se non le dispiace. E’ stato lei a preparare e seppellire il corpo di Elisabeth de Gévaudan?”.

“Sì, signore”.

“E non ha notato niente di strano?”

Effettivamente aveva notato qualcosa di strano, ma non poteva dire all’ispettore che il cadavere della giovane non gli aveva parlato, mentre tutti gli altri gli parlano ogni giorno. Non era uno stupido, non avrebbe mai detto la verità. Chi avrebbe creduto ad un pazzo?

“No, signore, niente di strano”.

“Ne è proprio sicuro?” chiese con prepotenza l’ispettore. Lui si limitò ad accennare. “Ok, allora è bene che lei sappia che questa mattina è stata disseppellita la signorina de Gévaudan, che si riteneva morta per overdose dopo aver ingerito della cocaina. I dati del medico legale erano poco chiari, e solo ieri sera si è capito, in base a quei dati, che la signorina Gévaudan non era morta, ma in stato di coma farmacologico.” Fece una pausa inquietante, poi ricominciò a parlare: “È stata disseppellita con procedimento di urgenza dalla polizia, questa mattina, dopo la chiamata del medico legale. Sembra che la signorina avesse ripreso conoscenza quando era già stata seppellita da tre metri di terra, dentro la bara, e che abbia urlato con tutte le sue forze, le sue corde vocali sono logorate. Quando l’abbiamo disseppellita era già morta soffocata.

“Ora le richiedo per l’ultima volta: ha notato qualcosa di strano nella ragazza prima di seppellirla, tipo che fosse ancora viva?”.

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