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Una settimana all’inferno

 
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Questa storia è stata scritta da Gero Marino, trovate il sito ufficiale cliccando QUI


Che fastidio infinito, gente che viene, gente che va. In questo modo finirà che schiatto prima di poter terminare questo maledetto manoscritto. E’ difficile concentrarsi a scrivere di giorno, durante le ore di visite, qui all’ospedale, dove mi trovo disteso su un letto fatiscente. Mi tocca sorbirmi tutte le lagne della folla che viene a trovarmi e ad annuire e fare sì con la testa senza nemmeno badare a ciò che dicono. La mia ultima carriera da politico non ci voleva, troppe persone da salutare, troppa gente da ignorare, perfino ora che scrivo e la sento parlare, nonostante non dimostri per essi, alcun interesse. Sento che questa vita mi sta abbandonando e visto che le mie parole pronunciate al vento, al vento volerebbero, è meglio mettere tutto nero su bianco, così che anche gli altri possano rendersi conto, quando la scintilla della mia anima lascerà questo corpo consumato dalla vecchiaia. Non sono mai stato una persona esemplare, da ragazzo ho provato ogni tipo di piacere. Provavo godimento in tutto quello che di ripugnante e depravato possiate mai immaginare in una persona. Ho pestato dei bambini la notte di Halloween, erano così patetici. Ho violentato una ragazza che dopo una settimana di uscite proprio non ne voleva sapere di darmela. Ho scippato una vecchietta alle poste, dopo essermi accorto che la cassiera gli aveva contato lentamente una cospicua somma di bigliettoni. Come rinunciare a tutto ciò? In fondo erano soldi facili e io ero giusto in fila per una maledetta multa che non meritavo affatto di pagare. Alla tenera età di ventidue anni, una sera m’impasticcai di brutto, di solito ci andavo piano con le droghe, ma all’epoca, negli anni settanta, certe feste sembravano proprio da sballo, il mondo stesso stava cambiando e io volevo partecipare al quel movimento di liberalizzazione sociale così tanto in voga e così tanto acclamato. Entrai in coma e ci restai per sette fottutissimi giorni. Se vi dicessi che ho passato la settimana più “infernale” della mia vita, lo prendereste probabilmente solo come un modo di dire, invece, voglio proprio raccontarvi di essere stato realmente nella casa del Diavolo. Mi risvegliai negli inferi, un posto agghiacciante, macabro, peggio di come l’avessi mai sentito raccontare in qualsiasi storia narrata prima. Era come una specie di gigantesco mattatoio, dove da una parte s’intravedevano delle celle, proprio come quelle delle prigioni e al centro i condannati venivano torturati e mutilati vivi. C’era sangue dappertutto e in sottofondo si sentivano le urla dei suppliziati da chissà quale altra parte di quell’ambiente vomitevole e raccapricciante. Mi accolse un essere dal fisico umano robusto e muscoloso con la testa di alce, ma con delle corna diverse, più corte e aguzze. Mi prese a forza per un braccio domandandogli se fosse lui il Diavolo, ma egli rispose di no, disse che la mia anima era così ignobile e di scarso valore da non meritare nemmeno un’udienza con lui. Forse non doveva essere poi così malvagio come raccontano tutti, forse era solo una specie di giustiziere che infliggeva alle anime dannate la giusta punizione per chi avesse condotto una vita allo sbando, senza principi ne morale. Mi rinchiuse in una cella e lì passai la prima notte all’inferno. Ricordo che non chiusi occhio, i condannati soffrivano e urlavano di continuo, urla insopportabili perfino per me che ero un sadico e a volte godevo nel vedere il tracollo del mio prossimo e nel suo fallimento. Dopo sei o sette ore, lo stesso individuo che mi aveva accolto bruscamente mi fece come da Cicerone in quel posto, mi dicevo “sto sognando, deve essere sicuramente un incubo”, e lui mi rispondeva che era la pura realtà. Mi condusse in una specie di mattatoio e mi mostrò come venivano tagliate le teste delle anime dannate. Due uomini robusti con la testa di cavallo tenevano ferma la vittima che si agitava esasperata sapendo a cosa andava in contro. “Perché aveva paura di morire? Dopo tutto, siamo già all’inferno no?” Domandai io. “Qui da noi non si muore una volta sola”, mi sentii rispondere. Poi mi riportò in cella. Il giorno dopo, venne a riprendermi e mi portò nella camera delle torture, dove altri carnefici sotto forma di mostri si divertivano ad amputare le loro vittime, strappandogli gli occhi dalle orbite, le unghie delle mani e dei piedi o conficcandogli in testa dei chiodi arrugginiti. Il giorno dopo ancora, la creatura mi condusse a vedere come le anime dei corrotti e dei violenti venivano arse vive su un gigantesco calderone pieno di lava incandescente dove le vittime erano calate poco a poco con estrema freddezza. E così per tutta la settimana. Penso di aver visto cose di inumana concezione e brutalità, ma la curiosità era più forte di me. “Perché la mia sentenza non è ancora stata emessa? Quale fine farò fra queste che ho visto e perché mi hai mostrato tutto ciò?”, gli chiesi alla creatura. Lui mi disse che non era ancora venuto il mio tempo, ma che sapeva già di che pasta ero fatto e che certamente sarei finito laggiù presto, e sarebbe stato lui in persona ad infliggermi una di quelle punizioni aberranti per il resto dell’eternità. Mi svegliai dal coma e quando raccontai il fatto al mio strizza cervelli, lui mi riportò lentamente alla ragione, dopo diverse sedute di terapia, mi disse che probabilmente, tutto era stato frutto della mia mente che nel frattempo era rimasta al minimo delle sue attività, che ero stato sotto anestesia per un lungo periodo di tempo e che fare degli incubi del genere non era poi una novità, proprio come quelli che sognano il tunnel nell’aldilà e riescono a provare una sensazione di pace e di quiete trascendentale. Io sapevo di aver vissuto tutto il contrario, di aver assaggiato l’essenza della paura e del terrore stesso, ma alla fine proseguii per la mia vita e dopo qualche anno mi lasciai tutto alle spalle. Cercai di rigare dritto all’inizio, del resto ero ancora molto spaventato, ma poi gli amici, le uscite, ritornò tutto quasi come prima. Ero tornato alla vita e intendevo godermela più che potevo. Arrivato ai trent’anni, mi feci assumere in una agenzia di assicurazioni, le mie prodezze da squattrinato impenitente continuavano sotto altre forme, non più da ragazzino vandalo e teppista, ma da uomo in carriera che si dava alle notti brave e che truffava gli anziani con le polizze vita taroccate. Non mi ponevo problemi all’epoca, se ce ne fossero mai insorti, avrei lasciato immediatamente la città e via, verso nuove avventure. Poi fui avvicinato da cattive compagnie, losche amicizie che mi consigliarono di buttarmi in politica e fare i soldi facili, quelli veri. Quanta gente ho imbrogliato! Quanta gente ho truffato! Ho ingannato i miei elettori, facevo promesse mai portate a termine praticamente a chiunque, come un vero mastino senza guinzaglio, mi ero scatenato e più male facevo al prossimo più acquisivo popolarità ed ero temuto dai miei avversari. Ricordo che qualcuno che avevo raggirato anni prima quando ero nelle assicurazioni, mi aveva riconosciuto e aveva minacciato di creare scandali contro di me. Diedi l’ordine di farlo sparire dalla circolazione, senza esitare, senza pensare alle conseguenze. Ho passato il resto della mia vita tra il lusso e il potere, ma adesso… adesso qualcosa m’inquieta. Sento puzza di carne bruciata attorno a me e tanfo di sangue bollente. Sento delle strane voci di notte, quando tutti dormono e sono il solo a sentirle in questa stanza insulsa e anonima. Ormai l’ho capito, io che non ho mai creduto nell’aldilà, adesso mi vedo costretto a ricredermi. Presto finirò tra le lame di qualche mannaia e dovrò scontare la mia pena giù negli inferi. Forse è tardi per la redenzione, non dovevo drogarmi, non dovevo beffarmi della gente attorno a me. Sento la vita che mi abbandona sempre di più ad ogni ora che passa e prego Dio che mi salvi l’anima come il primo fra i credenti. Dov’è finita la mia spavalderia? Dove sono finiti i miei soldi? Non si può comprare la libertà dell’anima all’inferno, non c’è nessuno che io possa corrompere. E questa gente che parla a vanvera attorno a me, non capisce che sono solo in attesa, in attesa di prendere il treno per gli inferi. La stanza è vuota adesso, l’ora delle visite è finita, c’è solo un compagno di stanza disteso sul suo letto alla mia destra, è piegato su un fianco e mi dà le spalle, credo si sia messo a dormire. Improvvisamente mi sento colto da u senso di solitudine inaudito. C’è un televisore spento di fronte a me, ma non vedo il mio riflesso sullo schermo, vedo solo una presenza, un essere con la testa di alce!

-Gero Marino.

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