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Quel che vedono i gatti

 
La maggior parte delle storie, tranne quelle nella categoria "Scritte da me" o "Scritte da voi" sono prese dal sito Creepypasta Italia Wiki

Quando entrai in casa, vidi Rigo aspettarmi in corridoio. Riconosceva sempre i miei passi sul pianerottolo, sapeva perfino distinguere se a suonare al citofono fosse qualcuno che frequentava spesso casa o un perfetto sconosciuto. I gatti hanno percezioni che vanno al di là della comprensione umana. Vivono in un loro mondo, che non è il nostro. Ci illudiamo che facciano parte della nostra vita, mentre siamo noi ad appartenere a loro. E a ciò che sanno.

Appesi la giacca e posai la borsa sulla vecchia cassapanca, poi mi abbassai a carezzare Rigo, che si accese all’istante: nel silenzio serale della casa si udiva solo il suono roco dell’affetto felino, come il motore di una macchina d’epoca.

Si strofinò a me più volte, avanti e indietro come al solito. Aveva fame. Ormai, dopo due anni di convivenza, avevo imparato quel linguaggio. Andai in cucina e aprii un barattolo di quella roba che spacciano per cibo per gatti, un miscuglio di carne informe e gelatinosa che Rigo adorava. Ci si tuffò dimenticandosi di me.

Ne approfittai per fare una doccia, poi mi vestii e preparai la cena. Fuori aveva cominciato a piovere, ma non mi dispiaceva il ritmico ticchettare contro i vetri. Dopo mangiato mi buttai sul divano in sala. Rigo era già lì, accoccolato sul tappeto a sonnecchiare. Presi un libro e cominciai a leggere.

Avevo letto sì e no una decina di pagine, quando vidi Rigo alzare di scatto la testa e fissare il vuoto davanti a lui. Non ci feci caso: fuori erano scoppiati diversi tuoni e gli allarmi delle vetture in strada sembravano impazziti.

Quando iniziai a sonnecchiare, decisi di smettere di leggere e me ne andai a letto. Fu una notte lunga, col temporale che non dava tregua al cielo e ai vivi in terra. Sentii Rigo miagolare in qualche punto della casa e mi rigirai fra le coperte cercando di riprendere sonno.

Il suono della sveglia giunse troppo presto. Aprii gli occhi e sul letto vidi il mio gatto fissarmi. Chissà quand’era salito, mi chiesi. Poi mi alzai, gli accarezzai la testa e mi preparai per andare al lavoro.

 

Tornai a casa più tardi del solito. Rigo non era nel corridoio, ma lo vidi di sfuggita nella sala da pranzo. Ero stanco, così mi infilai di corsa in camera e poi sotto la doccia. Uscito dal bagno mi affacciai in sala e lo chiamai.

«Rigo! Ti preparo la cena. Hai fame?»

L’immagine del mio gatto fisso nella stessa posizione di prima apparve e svanì in un lampo mentre entravo in cucina. Aprii un barattolo e ne versai il contenuto nella ciotola. Lo chiamai di nuovo, come facevo spesso quando gli davo da mangiare. Aveva ormai imparato il suono di alcune parole magiche, come “pappa”. Poi iniziai a cucinare.

Dopo qualche minuto mi tornò in mente l’immagine di prima: Rigo nell’altra stanza, seduto in posizione eretta a fissare un punto davanti a lui. Non era venuto in cucina, così uscii e feci di nuovo capolino nella sala.

Era ancora lì, nella stessa posizione. Non so cosa guardasse, davanti a lui non c’era nulla di nuovo o strano che potesse incuriosirlo. Poi lo vidi sollevarsi sulle zampe posteriori, chiudere gli occhi, muovere a piccoli scatti la testa, come se ci fosse qualcuno ad accarezzarlo. Potevo perfino sentire le sue fusa.

Un brivido mi colse alla base del collo, gelandomi il corpo senza un apparente motivo.

«Rigo», chiamai.

Il gatto si voltò verso di me un momento, poi tornò a guardare davanti a lui, infine di nuovo verso di me, quando si decise a zampettare venendomi incontro e strofinandosi. L’accarezzai, poi andai nel punto in cui si trovava prima. Ancora quel brivido e l’impressione di qualcosa nella stanza, qualcosa che prima non c’era.

Rientrai in cucina. Rigo stava mangiando come se nulla fosse e così mi concentrai sulla cena. Una sensazione di inquietudine mi assalì e non mi abbandonò per tutta la serata. Dopo cena, seduto sul divano a leggere, non riuscii a concentrarmi. Rigo dormiva sul tappeto come sempre. Andai a letto, nella speranza di addormentarmi presto e lasciarmi alle spalle quella giornata.

 

Rumori ovattati mi svegliarono. Guardai l’ora sul cellulare che tenevo sul comodino. Erano le 3 e 20. Sentii ancora quei rumori e ne riconobbi la fonte. Provenivano dalla sala da pranzo. Era Rigo che correva, zampettando sul pavimento senza curarsi del coinquilino che dormiva. Fermo sulla soglia del salone, lo vidi correre in lungo e in largo, inseguendo non so cosa. Era buio, l’unica luminosità la luce dei lampioni in strada che penetrava le tende della finestra. Tenevo sempre la serranda alzata, quindi la stanza non era mai completamente in oscurità, ma riuscii a scorgere solo il gatto, non a cosa stesse dando la caccia. Topi non s’erano mai visti in casa, forse si trattava di un insetto.

Entrai. Il senso di inquietudine mi prese nuovamente e lungo tutta la schiena un brivido inarrestabile colò giù come gelo liquido. Il gatto continuò a rincorrere la sua misteriosa preda, poi saltò, tentando di afferrarla, ricadde sul pavimento, corse via ancora.

Accesi la luce.

Rigo si fermò.

Le tende della finestra si sollevarono come mosse da un vento inesistente. Alla base del collo avvertii i peli rizzarsi. Un senso di agitazione s’impossessò di me. Mi voltai verso il gatto: mi stava osservando, facendo le fusa e socchiudendo gli occhi. Controllai per sicurezza la porta di casa e la trovai chiusa. E così le finestre. Tornai a letto, ma non riuscii più a dormire. Ero spaventato, anche se non ne sapevo il motivo.

L’indomani mi alzai con un mal di testa che mi perseguitò tutto il giorno. Tornato a casa mi gettai sul divano senza neanche cambiarmi. Mi appisolai e quando riaprii gli occhi mi accorsi che erano quasi le dieci. Non avevo neanche cenato. Il mio pensiero andò subito a Rigo e mi domandai perché non avesse miagolato per chiedere da mangiare. Lo cercai con lo sguardo e lo vidi.

Fissava un punto davanti a lui.

Fermo, gli occhi chiusi, la testa leggermente piegata da un lato, il pelo…

Mi riscossi, strofinandomi il viso per svegliarmi meglio. Era stata solo suggestione, sicuramente. Tornai a guardare il gatto, la sua posa sorniona, l’aspetto di benessere che sembrava emanare, il suono delle fusa che arrivava chiaro e distinto nel silenzio della sera. E la pelliccia.

La pelliccia si muoveva, come se una mano invisibile la stesse accarezzando.

Il brivido di freddo mi avvolse allora come un mantello, la mente si svuotò e sentii i pensieri scivolare via come acqua su vetro. Non avvertii pericolo, non fu una percezione di terrore inconoscibile. Fu presenza. E accettazione. E consapevolezza, anche, di qualcosa che andava oltre. Oltre la scienza, la logica, l’immaginazione. Oltre tutto ciò che mi circondava in quel momento.

Non so quel che vedono i gatti. Non conosco il loro mondo, né so fin dove possano spingersi e chi possa giungere a loro, chi gli consenta di esser visto. Da quella notte la mia vita è cambiata. Credo a ciò che prima giudicavo fantasie. Vedo il mio gatto con un rispetto maggiore, con uno sguardo diverso. È sempre il mio Rigo, continua a farmi le fusa, a giocare con me, a dormire sul mio letto, talvolta. Ma so – so con certezza – di non essere più solo nella sua vita.


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