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Passi – Capitolo I

 
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Se premete il vostro orecchio contro il cuscino in una stanza silenziosa potrete sentire il battito del vostro cuore. Da bambino quei ritmici battiti smorzati mi sembrava risuonassero come passi attutiti dalla moquette del pavimento, e così quasi ogni sera, proprio mentre stavo per addormentarmi e andare a letto, avrei sentito quei passi che mi avrebbero riportato ad uno stato di coscienza, atterrito.

Per tutta la mia infanzia ho vissuto con mia madre in un quartiere abbastanza carino che si trovava in uno stato di transizione, in quanto gente con basse aspettative economiche stava traslocando lì e mia madre ed io eravamo due di quelle persone. Vivevamo in una di quelle casette che si trasportano divise in due pezzi sulle interstatali, ma mia madre se ne prendeva comunque cura. C’erano molti boschi attorno al quartiere, in cui avrei voluto giocare e che avrei voluto esplorare, ma di notte, come spesso capita ad un bambino, essi parevano assumere un’aria sinistra. Tutto ciò, sommato al fatto che per via della struttura della casa c’era uno scantinato abbastanza grande costantemente sotto i miei piedi, riempiva i miei pensieri di mostri e scenari inevitabilmente spaventosi durante la notte, quando venivo svegliato dai passi. Parlai con mia madre di questo mio problema e mi rispose che era soltanto la mia immaginazione. Insistetti con lei al punto che mi riempì le orecchie con dell’acqua usando un contagocce giusto per farmi star quieto, dal momento che credeva funzionasse. Naturalmente, non funzionò. Nonostante questa mia inquietudine, nonostante i passi, l’unica cosa strana che mi capitava ogni tanto era ritrovarmi sdraiato nel letto inferiore del letto a castello malgrado fossi andato a dormire nel letto superiore. Bè, forse non era così strano, visto che mi capitava spesso di alzarmi per andare in bagno o per bere qualcosa e non mi accorgevo di tornare a dormire nel letto inferiore (ma questo non importava, dal momento che sono figlio unico). Questo poteva succedere una, due volte a settimana ma non gli diedi molto peso, non mi faceva rabbrividire svegliarmi nel letto inferiore. Il punto è che una di queste notti non mi svegliai nel letto inferiore.

Stavo sentendo i passi e sebbene questi fossero ben lontani dal potermi svegliare, presi comunque conoscenza, non per via di un incubo o dei passi, ma perché avevo freddo. Veramente freddo. Quando aprii gli occhi vidi il cielo stellato. Ero nel bosco. Subito mi sedetti cercando di capire cosa fosse successo. Inizialmente pensai che stessi sognando, ma c’era qualcosa che non andava comunque. C’era una materassino da piscina sgonfio appena davanti a me, uno di quelli a forma di squalo. Questo pervase il mio corpo di una sensazione surreale e dopo un po’ mi accorsi che non mi sarei svegliato da un momento all’altro, visto che non stavo dormendo. Mi alzai per orientarmi, ma non riconobbi nulla nel bosco. Ho giocato nei boschi attorno a casa mia per molto tempo, li conoscevo bene, quindi mi domandai come avrei potuto uscire da un bosco che non conoscevo. Feci un passo e subito sentii un dolore lancinante alla pianta del piede, e subito mi rigettai a terra dove stavo sdraiato fino a qualche istante prima. Avevo calpestato una spina. Grazie alla luce della luna potevo vedere che ce n’erano in abbondanza ovunque. Guardai l’altro piede e vidi che era a posto, come il resto del corpo peraltro. Non avevo altri graffi addosso e non ero nemmeno tanto sporco di terra o altro. Piansi per un poco e poi mi rialzai.

Non sapevo dove andare così scelsi una direzione. Resistetti alla tentazione di gridare perché non ero sicuro di voler essere trovato da chi o da che cosa avrebbe potuto essere la fuori.

Camminai per quelle che sembrarono ore.

Cercai di camminare seguendo una linea dritta tentando di correggere la direzione quando dovevo prendere piccole deviazioni tra gli alberi, ma ero solo un bambino ed ero spaventato. Non c’era alcun rumore particolare, né urla, né grida, solo uno fu il rumore che mi spaventò. Sembrava il pianto di un neonato. Inizialmente pensai fosse il miagolio di un gatto, ma il panico mi assalì comunque mentre il suono diventava via via più forte. Corsi continuando a svoltare, in modo da evitare i cespugli e i tronchi di alberi abbattuti. Prestavo grande attenzione a dove poggiavo i piedi dal momento che questi non erano in buone condizioni. Infatti probabilmente feci troppo caso ai miei piedi e troppo poca a dove questi mi stavano portando, perché poco dopo aver sentito il pianto vidi qualcosa che mi riempii di una disperazione che non avevo mai provato prima. Era il materassino sgonfio.

Ero a soli dieci metri da dove mi ero svegliato.

Non fu una magia o una qualche sorta di flessione spazio-temporale soprannaturale a creare questa situazione, mi ero semplicemente perso. Fino a quel momento pensai più ad uscire dal bosco che a come mi ci ero ritrovato, ma tornare di nuovo al punto di partenza fece sì che la mia mente annegasse in migliaia di pensieri confusi. Non ero neanche sicuro che quelli fossero i boschi vicini a casa, avevo solo sperato che lo fossero. Avevo semplicemente camminato compiendo un enorme cerchio o avevo invertito la rotta inconsapevolmente ad un certo punto? Come avrei fatto ad uscire? A quel tempo pensavo semplicemente che la stella polare fosse la più luminosa, quindi mi fermai per cercarla nel cielo e la seguii.

Alla fine l’ambiente iniziò a farsi più familiare e quando vidi “il fosso” (uno sporco fossato nel quale io e i miei amici combattevamo le nostre piccole battaglie fangose) capii che ero riuscito ad uscire dal bosco. A quel punto camminavo molto lentamente, i miei piedi mi dolevano molto, ma ero così felice di esser di nuovo vicino a casa che mi lasciai andare in una leggera corsetta. Quando vidi il tetto di casa mia sbucare tra quelli delle case più basse non trattenni un piccolo singhiozzo e corsi più velocemente. Volevo solo arrivare a casa. Avevo già deciso che non avrei detto niente a mia madre perché non avevo idea di cosa avrei potuto dirle. Mi sarei intrufolato dentro in qualche modo, lavato e messo a letto. Appena girai l’angolo che mi permise di vedere completamente casa mia il mio cuore affondò.

Tutte le luci di casa erano accese.

Sapevo che mia madre era sveglia e sapevo che avrei dovuto spiegare (o provare a spiegare) dove ero stato e non riuscivo neanche ad immaginare da dove iniziare. La mia corsetta si trasformò in una camminata mentre mi avvicinavo a casa. Sebbene fossi preoccupato per il modo in cui avrei spiegato tutto a mia madre, appena vidi la sua sagoma stagliarsi al di là delle tende non mi importò più nulla. Raggiunsi casa, salii i due scalini della veranda, misi la mano sulla maniglia della porta e girai. Mentre aprivo la porta due braccia mi afferrarono e mi spinsero indietro. Gridai più forte che potei: “Mamma! Aiutami! Ti prego! Mamma!” La sensazione di essere così vicino alla salvezza e di essere poi scaraventato così lontano da essa mi riempì di un terrore che anche dopo tutti questi anni rimane indescrivibile.

La porta dalla quale fui respinto si aprì, e un raggio di speranza attraversò il mio cuore. Ma non era mia madre.

Era un uomo. Ed era enorme. Mi agitai, iniziai a sferrare manate e a prendere a calci gli stinchi di colui che mi tratteneva mentre cercavo di star lontano dal mostro che era appena uscito da casa mia. Ero spaventato, ma furioso: “Lasciatemi stare! Dov’è? Dov’è la mia mamma? Cosa le avete fatto?”. Appena le grida cominciarono a grattarmi la gola soffocando i miei respiri, mi resi conto di un suono presente da molto più tempo rispetto a quando me ne accorsi. “Tesoro, ti prego, calmati. Eccomi.” Sembrava mia madre.

Le mie braccia si sciolsero in quel momento e mi calmai. L’uomo uscito dalla porta avvicinandosi a me venne rivelato dalla luce della veranda, subito notai i suoi vestiti. Era un poliziotto. Mi voltai verso la voce dietro di me ed era davvero mia madre. Tutto si era sistemato. Iniziai a piangere e tutti e tre entrammo in casa.

“Sono così contenta che tu sia a casa, tesoro. Ero preoccupata di non rivederti mai più!” A quel punto anche lei stava piangendo.

“Mi dispiace, non so cosa sia successo. Volevo solo tornare a casa. Scusami.”

“Va bene, solo promettimi di non rifarlo mai più. Non sono sicura che io o i miei stinchi possiamo sopportarlo ancora …”

Una piccola risata spezzò il mio singhiozzo facendomi sorridere un po’. “Scusami se ti ho colpita, mamma, ma perché mi hai afferrato in quel modo?”

“Avevo solo paura che tu scappassi di nuovo.”

Ero confuso. “Cosa intendi?”

“Abbiamo trovato il tuo foglietto sul cuscino.” Disse puntando il dito verso un pezzetto di carta che il poliziotto mi stava passando dall’altra parte del tavolo.

Raccolsi il foglietto e lo lessi. Era una di quelle lettere che lasciano gli adolescenti ai genitori prima di scappare. Diceva che ero infelice e che non volevo vedere più né mia madre né i miei amici. L’agente di polizia scambiò due parole con lei, fuori, di fronte alla veranda mentre io fissavo la lettera. Non ricordavo di aver scritto quella lettera. Non ricordavo niente di ciò che diceva, non ricordavo nulla.

Ma anche se ogni tanto vado in bagno senza che me ne accorga, anche se andai nel bosco per conto mio, anche se tutto ciò che stava scritto sulla lettera era vero, l’unica cosa che sapevo con certezza a quel punto fu: “Io non scrivo così il mio nome… Non ho scritto io questa lettera.”

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